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RE: Riflessioni sulla depressione
@ Burian87:
preparato è una parola troppo grossa :D faccio Comunicazione a indirizzo Giornalismo, ma il nostro corso ha forti basi di Sociologia e studiamo anche altra robetta interessante tipo Psicologia Sociale o Cognitiva.
sui punti che hai elencato ti dico la mia (anzi, quella dei miei prof più che mia, ma mi ci trovo abbastanza d'accordo):
1) E' vero, oggi c'è molta più mobilità rispetto al passato, ma è un discorso che va anche questo precisato: la mobilità oggi va intesa più che come spostamento da un luogo all'altro come spostamento da un lavoro all'altro. Fino a 30 anni fa il lavoro era stabile, sedentario, fisso... rappresentava una sicurezza, un punto fermo, la stabilità: oggi il lavoro è invece sempre più precario e a termine. Ciò che causa malessere non è tanto il doversi spostare "fisicamente"; se io avessi un lavoro che mi richiede spostamenti ma che so essere a tempo indeterminato sarei felicissimo, anzi giro pure il mondo, chi più contento di me. Il vero problema oggi è che il lavoro dura poco e chi non ha una mentalità flessibile per saltare un tipo di lavoro all'altro spesso resta fregato o svantaggiato. E anche quelli che sono sufficientemente malleabili per accettare questo nutrono comunque delle preoccupazioni legate al fatto che il lavoro è temporaneo.
2) Sono d'accordo, ma non solo la vita della metropoli, è tutto l'impianto della società attuale che induce un senso di insicurezza generalizzato. Mo non trovo il paragrafo, ma ci sono degli interessanti studi che dimostrano che i grandi fruitori di TV sono le persone che nutrono maggior senso di insicurezza o comunque di minaccia da fattori esterni al proprio gruppo. Abbiamo meno rapporti "fisici" e più rapporti "virtuali": non pensate solo al pc e ai social networks, o alle chat ed ai forum come questo. E' sufficiente pensare al cellulare, che è diventato un mediatore fondamentale dei nostri rapporti... in conclusione: le caratteristiche dei rapporti che abbiamo con gli altri non sono dettate solo da noi stessi e dagli altri, ma dal "mezzo" che ci collega.
3) Stavolta invece secondo me le cose stanno esattamente al contrario. Su questo argomento in Sociologia della Comunicazione si parla di "dissequestro dell'esperienza": in parole povere, una volta, prima della rivoluzione dei mass media, la nostra esperienza era costituita da ciò che vivevamo in prima persona, o al più da ciò che potevamo leggere sui libri. Poi c'è stata la rivoluzione della scuola (con l'alfabetizzazione di massa), della TV e di Internet: possiamo vedere le cascate del Niagara da una foto su un libro, da un documentario in TV o su Youtube. Non le abbiamo viste fisicamente, ma possiamo parlarne, ormai fanno parte del tessuto della nostra esperienza, anche se surrogata. Oggi siamo alla seconda rivoluzione dell'esperienza: abbiamo la realtà virtuale, oggi l'esperienza è simulativa. Metto guanti e occhialini e posso pilotare un Boeing 777 senza esserci mai salito a bordo; eppure so come si fa... tantissimi piloti sono addestrati così. E il futuro ci riserva cose ancora più incredibili... L'uomo non ha mai avuto come oggi tanto materiale esperienziale cui attingere, e da poter comunicare agli altri :) ciò che ci manca, e che alcuni non riescono ad accettare, è il fatto di non avere più un esperienza esclusivamente "nostra".
Il tutto, come tu giustamente hai detto, causa il malessere di cui parliamo, il male di vivere.
PS. voglio proprio vedere chi ce la fa a leggersi tutto sto papello :D