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sangue sull’estate troppo bella
@ carlitosway.70:
Praga 1968: sangue sull’estate troppo bella
“Riconosco di essere entrato in contatto e in rapporto con i rappresentanti degli imperialisti angloamericani e con i loro servizi segreti che si intromettevano negli affari interni della Cecoslovacchia. Ho svolto attività ostile, ho sostenuto gli interessi degli imperialisti angloamericani e ho tradito gli interessi del popolo cecoslovacco.”
E’ una delle pubbliche confessioni estorte al processo Slansky. Il 21 agosto 1968 è uno spartiacque nella storia, è la fine di un sogno, quello di un comunismo libero e democratico. In pochi giorni i carri armati di Mosca e dei paesi satelliti (Polonia, Bulgaria, Germania Est, ecc…) schiacciano tutti gli esperimenti e gli espedienti per coniugare comunismo, libertà e democrazia tentati a Praga da intellettuali e studenti. Mette i brividi vedere i carri armati russi in Georgia proprio nell’annniversario dell’invasione della Cecoslovacchia, 40 anni dopo le immagini dei carri armati a Praga. Impressionante coincidenza. Punto. Resta la volontà di potenza russa, l’imperialismo con la sindrome da accerchiamento dello stato più grande della terra. Però tra i due eventi, quel ‘68 a Praga e questo 2008 in Georgia, il mondo è cambiato. In mezzo c’è la data fondamentale del crollo del muro di Berlino, dell’implosione dell’impero comunista sovietico. Lo ricorda Vàclav Havel, commediografo, ex presidente, ma soprattutto protagonista della primavera di Praga: “Tra la caduta graduale della cortina di ferro e la caduta del comunismo nell’anno ’89 e gli avvenimenti dell’anno ’68 c’è in comune la pressione della società che vuole vivere in libertà e non sopporta più il totalitarismo che umilia gli uomini dalla mattina alla sera e conduce alla decadenza dell’economia. In comune c’è quindi la rivolta contro un intero regime totalitario di tipo comunista. Il resto è senz’altro molto differente. Prima di tutto, l’anno ’68 è stato caratterizzato da un’ideologia di comunismo riformista.
Il governo con l’appoggio silenzioso del pubblico sottolineava che voleva solo migliorare il socialismo. Si affermava che non avremmo rinnegato il blocco monolitico sovietico, non saremmo andati contro di esso, non avremmo privatizzato o introdotto il capitalismo. Questa ideologia di socialismo riformista era, dal di fuori, dall’estero, la più visibile manifestazione della Primavera di Praga. Però nell’anno ’89 tutto era già totalmente differente. La gente non voleva più alcun socialismo dal volto umano, voleva la libertà.” La Primavera di Praga e la sua brutale repressione, storia di un anno speciale, il ‘68, quando in tutto il mondo scoppiò una rivolta giovanile, gli studenti di Tokio diedero battaglia con tre giorni di guerriglia urbana, l’assassinio di Martin Luther King fece scoppiare rivolte nei ghetti neri di 200 città americane, a Parigi il mese di maggio fu quanto più vicino alla rivoluzione una democrazia moderna abbia mai provato, nella Spagna del regime franchista studenti e operai scioperarono e manifestarono più che negli altri paesi europei, le olimpiadi di Città del Messico furono precedute da un bagno di sangue durante la repressione di una manifestazione, l’omicidio di Bob Kennedy, l’ultimo che ancora poteva entrare nei ghetti in fiamme, spense le speranze di pace, la guerra del Vietnam raggiunse picchi di orrore come la strage del villaggio di My Lay, persino i ragazzi della ex Jugoslavia, sotto il regime di Tito, trovarono la forza di scendere in piazza per manifestare. Intervistato da Martin Vidlak e Petr Jancarek, Vàclav Havel ricorda così quell’anno: “Era però un movimento mondiale, era l’epoca dei Beatles, di Lou Reed, di Andy Warhol, l’epoca dei movimenti studenteschi indipendenti. Da noi c’era un aspetto particolare perchè finora esisteva solo la CSM, l’Unione della gioventù cecoslovacca, cioe’ l’organizzazione ufficiale della gioventù comunista. Su iniziativa dei giovani all’improvviso si svilupparono organizzazioni indipendenti ed apartitiche che non avevano bisogno del sostegno di nessuno ne’ di fare proseliti. Non erano più determinate da una qualche ideologia. In effetti è accaduto molto anche negli anni ’50, gli scrittori si agitavano e parecchie proteste furono soffocate.
Allora gli oppositori si adattarono al linguaggio ufficiale comunista e si adeguarono agli schemi e ai concetti fondamentali dell’ideologia. Ma ora arrivava la generazione che ha buttato all’aria tutto questo. L’anno ’68 – grazie agli scioperi degli studenti in America, alla rivoluzione di maggio a Parigi e agli avvenimenti in Cecoslovacchia – è diventato il culmine di questi movimenti mondiali molto particolari. Così si può dire dell’atmosfera d’allora…..
Era un’epoca di grande eccitazione, di grande gioia e anche di apprensione e paura di come tutto sarebbe finito. Naturalmente abbiamo fatto falò, feste e, sebbene non abbiamo voluto ammetterlo, inconsciamente abbiamo dovuto fare conto dell’alternativa, che tutto sarebbe stato oppresso e calpestato. Ogni giorno ascoltavamo la radio e la tv, cosa finora impensabile, perchè non vi era mai niente di interessante da ascoltare o guardare. Mi ricordo che il mio amico, l’attore Jan Tríska, allora aveva detto: ”E’ un’estate troppo bella, non può finire bene.” Quell’estate troppo bella finì nel sangue, nelle “purghe”, nei processi-farsa. Difficile persino fuggire. La radio fece il suo ultimo appello al mondo libero. Il canale canale televisivo tentò ancora una volta di rivolgersi a dei telespettatori (vediamo nella foto un frame di quell’ultima trasmissione) che nelle loro case stavano già sotto il tiro dei carri armati.
Jirì Pelikàn, direttore della televisione, riuscì a scappare nascosto dentro un’ambulanza e a rifugiarsi in Italia. Fu accolto come profugo ma subì anche diversi attacchi verbali: c’era chi lo trattava da fascista e lo insultava. Come per ogni altro evento del ‘68, non c’era certo unanimità di consensi nel mondo occidentale, cosiddetto “libero”, attorno alla Primavera di Praga. Non aver condannato l’invasione sovietica fu un errore storico della sinistra comunista. Si volle dimenticare rapidamente che i protagonisti della Primavera avevano insistito per riconoscersi nel comunismo, che persino il martire Jan Palach (lo studente che si darà fuoco per protesta nel gennaio del ‘69) aveva appena consegnato una tesina su “L’Umanesimo nel giovane Marx” e aveva partecipato alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam davanti all’ambasciata americana di Praga.
Persino il suo gesto estremo era ispirato ai monaci buddisti che si erano dati fuoco in Vietnam. Così Havel ha raccontato il giorno più caldo, il 21 agosto del 1968: “Mi ricordo il primo momento, quando ci hanno telefonato alle undici di notte e ci hanno detto di accendere la radio dove stavano leggendo l’annuncio della presidenza del Comitato centrale del Partito comunista che l’esercito stava occupando il nostro Paese. Siamo subito corsi fuori dalla festa. L’amico Jirí Seifert, che oggi non vive più, era in un tale stato d’animo e in una tale disposizione di spirito da mettersi sul percorso di un carro armato come se avesse voluto impedirgli di andare avanti. Ciò non corrispondeva solo al suo stato d’animo, ma era caratteristico di quel periodo. Tutto ciò presentava diversi aspetti. La popolazione da una parte non credeva agli suoi occhi, non credeva che fosse possibile che all’ improvviso centinaia di carri armati e migliaia di soldati avessero occupato il Paese con tanta brutalità senza qualsiasi motivo concepibile, dall’altra parte forse sapeva che questo significava il disastro e la fine per un tempo molto lungo. Naturalmente non si riusciva a immaginare che aspetto avrebbe avuto tale fine e per quanto tempo, ma tutti sapevano, capivano e sentivano che era successo qualcosa di tragico. Tuttavia allo stesso momento nella popolazione c’era ancora una speranza comune.
E’ difficile dire speranza in che cosa di preciso. Ma la solidarietà di cui ho parlato, l’unità, il bisogno di aiutarsi – per esempio ci portavano farmaci dall’ospedale alla radio senza che ne avessimo avuto bisogno solo perchè la gente sentiva il bisogno di aiutare – tutta l’atmosfera era in sostanza qualcosa che rafforzava la speranza. So che è stato scritto lo slogan “lo spirito vince la forza bruta”.