Politica

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di destra, di centro o di sinistra... non importa. Discutiamo "civilmente" dell'operato dei nostri politici.

carlitosway.70 carlitosway.70 15/07/2010 ore 09.23.15
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(Nessuno)Cuba, patria dove tutto è lecito.

rignrazio mr vladimir il cosacco per la stima dimostratami con le sue dolci frasi.
caro compagno, per il momento l'elettorato vi ha infilato un casco di banane nello sfintere, tra poco preparerete i cartoni con la corda. sarete trasferiti a Cuba, patria dove tutto è lecito. meglio non portarsi dietro i manifesti del che.
VladimirUljanov VladimirUljanov 15/07/2010 ore 23.15.07
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(Nessuno)RE: Cuba, patria dove tutto è lecito.

forse c'è un errore di forma !
l'elettorato ha dimostrato una maturità eccezionale , isolando
un pezzo di merda infiltrato e bloccando un partito finto alleato
di nascosto con il TUO NANOMAFIOSODIMERDA !

il partito è in stand.bay ma non il popolo ...COGLIONAZZO!
basta solo osservare questa anomalìa a cui si attaccano gli
stronzi che ora S-GOVERNANO IL PAESE !!!

pensa te, caro trafficante di droga del cazzo, se diventasse
FINI .....comunista alla CASTRO !???
(saprai certamente che Castro non fu mai comunista!..vero?)

poi ne riparleremmo...fogna a cielo aperto!!!!

hasta finchè te dice bene
Falco.SS Falco.SS 16/07/2010 ore 01.52.10 Ultimi messaggi
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(Nessuno)RE: Cuba, patria dove tutto è lecito.

Penso che non ci farebbe male un pò di dittatura comunista ,per assurdo vorrei che vincesse le prossime elezioni l'opposizione ahhhhhhhhh sarebbe finalmente quello che la minoranza degli Italiani vorrebbe ....più tasse più mantenuti più emigrati irregolari più gay e viados anche nelle scuole elementari e sposati con figli adottati ,insomma per un futuro migliore di questo dove i ricchi non esistano e i poveri siano senza valori e cervello per essere completamente al servizio dello Stato centrale .
linx linx 16/07/2010 ore 05.09.19
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(Nessuno)RE: Cuba, patria dove tutto è lecito.

carlitosway.70 scrive:
l'elettorato vi ha infilato un casco di banane nello sfintere

come ti esprimi bene
linx linx 16/07/2010 ore 05.16.32
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(Nessuno)RE: Cuba, patria dove tutto è lecito.

Embargo contro Cuba
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'Embargo contro Cuba, conosciuto anche come el bloqueo è un embargo commerciale, economico e finanziario imposto dagli Stati Uniti d'America contro Cuba all'indomani della Rivoluzione castrista e tutt'ora in vigore.
linx linx 16/07/2010 ore 05.17.12
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(Nessuno)RE: Cuba, patria dove tutto è lecito.


Premesse

Prima del 1959 a Cuba gli statunitensi controllavano il petrolio, le miniere, le centrali elettriche, la telefonia e un terzo della produzione di zucchero. Quell'anno gli USA erano il primo partner commerciale cubano, comprando il 74% delle esportazioni e fornendo il 65 delle importazioni dell'isola.
La riforma agraria

Dopo la presa del potere da parte dei rivoluzionari di Fidel Castro il 17 maggio 1959 viene varata la prima riforma agraria cubana, affidata all'INRA, Istituto Nazionale per la Riforma Agraria, che aveva il compito di espropriare e ridistribuire la terra.

La legge di riforma prevedeva la nazionalizzazione delle proprietà al di sopra dei 405 ettari e l'affidamento delle terre espropriate a cooperative agricole o a singoli coltivatori. Contemporaneamente, per impedire il minifondo, fissava dimensioni minime di 27 ettari e proibiva la vendita dei fondi ricevuti, il loro affitto e il frazionamento. Era inoltre previsto un sistema di indennizzo per gli espropriati basato sul valore dei terreni dichiarato a fini fiscali e il pagamento di questi compensi era liquidato in buoni del tesoro ventennali con un interesse massimo del 4%.

Gli espropri colpirono cittadini e compagnie statunitensi e spinsero il governo degli Stati Uniti a richiedere, inutilmente, una modifica degli indennizzi improntata a criteri di prontezza (compensi immediati e non dilazionati nel tempo), equità (stime basate sul valore reale e non su quello dichiarato al fisco) ed effettivitàdenaro liquido e non in titoli). (pagamenti in

Nell'ottobre 1959 il Presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower reagì approvando un piano, proposto dal Dipartimento di Stato e dalla CIA, che prevedeva il supporto agli oppositori interni e includeva raid degli esuli contro l'isola a partire dal territorio statunitense. Questa prima strategia venne modificata il 17 marzo 1960 dopo una riunione nello Studio Ovale che approvò un documento, elaborato dal gruppo 5412, denominato "A Program of Covert Actions Against the Castro Regime", basato su quattro punti: creare un'opposizione unitaria al regime all'estero; mettere in pratica un'offensiva basata sulla propaganda anticastrista; mantenere agenti sull'isola; addestrare una forza paramilitare all'estero preparata per future azioni sull'isola. Queste azioni erano conosciute dal Presidente e da una ristretta cerchia di persone ma ignorate dalla grande maggioranza dei membri del Congresso statunitense.
Le nazionalizzazioni

I rapporti con gli Stati Uniti andarono sempre più deteriorandosi e all'inizio del 1960 si ripeterono le incursioni degli esuli che a bordo di aerei da turismo partivano dalla Florida per bombardare le piantagioni cubane. Nel febbraio 1960 il vicepresidente sovietico Anastas Mikojan arrivò all'Avana e dichiarò che l'URSS sarebbe stata disposta ad aiutare Cuba. Tra i due Stati si stabilirono feconde relazioni diplomatiche e in breve la giovane rivoluzione poté contare su un prestito di cento milioni di dollari e un accordo per scambiare imponenti quantitativi di zucchero cubano con un'importante fornitura di petrolio sovietico.
La prima conseguenza fu che, dopo essersi rifiutate di raffinare 300.000 tonnellate di petrolio acquistate dai sovietici, le compagnie statunitensi Standard Oil, Esso e Texaco e la britannica Shell furono espropriate. Il decreto di nazionalizzazione, che porta la firma del ministro dell'industria Ernesto Che Guevara è del 29 giugno 1960.

Il 6 luglio 1960 il Congresso degli Stati Uniti votò una prima misura economica contro Cuba autorizzando il Presidente a ridurre o sopprimere le importazioni di zucchero da Cuba. Il giorno dopo Eisenhower emanò un provvedimento che ridusse drasticamente tali importazioni per l'anno in corso. Va considerato che dall'inizio del secolo una serie di accordi commerciali avevano favorito la penetrazione della produzione di zucchero cubana negli Stati Uniti ma aveva legato l'economia cubana a questa esportazione, tanto che circa l'80% della moneta straniera che arrivava a Cuba proveniva dal commercio di zucchero con gli USA.
Sempre il 7 luglio, il Parlamento cubano rispose con una legge di nazionalizzazione di tutte società statunitensi operanti a Cuba. Come nel caso della riforma agraria furono previsti indennizzi attraverso buoni governativi ma si aumentava la dilazione temporale, che diventava trentennale, e si fissava un interesse annuo inferiore al 2%.

Questa legge anticipava la nazionalizzazione di tutte le grandi imprese private, che venne attuata con la legge del 13 ottobre 1960, cui Eisenhower rispose il 17 dello stesso mese con il ritiro dell'ambasciatore statunitense e la decisione di ridurre ulteriormente i commerci bilaterali.

Il 20 ottobre 1960 venne istituito un ampio embargo sulle esportazioni in base all'Export control Act del 1949. La scelta di fare appello a questa legge piuttosto che al Trading with the Enemy Act in teoria consentiva alle sussidiarie delle multinazionali statunitensi di aggirare il blocco anche se il Consiglio di Sicurezza statunitense aveva manifestato la netta preferenza verso l'utilizzo del Trading with the Enemy Act. Tra l'agosto e il settembre di quell'anno, il Dipartimento di Stato e quello del Tesoro avevano espresso posizioni molto diverse sull'applicazione dell'embargo e mentre il primo proponeva di attenuarne gli effetti, sottolineando ad esempio la necessità di mantenere attivi canali di comunicazione telefonica e di non estendere l'embargo a medicinali e beni alimentari per ragioni propagandistiche, il Tesoro insisteva sulla necessità di un embargo rigoroso.

Alla fine le misure economiche contemplavano, oltre al drastico crollo delle importazioni di zucchero, il divieto di ogni tipo di commercio eccetto cibo e medicine. Gli Stati Uniti prevedevano che l'entità degli scambi tra i due Paesi sarebbero crollati dai 1.100 milioni del 1957 a 100 milioni e gli investimenti diretti statunitensi sull'isola, che prima assommavano 900 milioni, sarebbero stati totalmente azzerati.

Quando la quota dello zucchero cubano sul mercato statunitense venne definitivamente diminuita, nel dicembre 1960, il Governo cubano firmò accordi per vendere a tutta l'area socialista 4 milioni di tonnellate di zucchero a un prezzo preferenziale di quasi quattro centavos (prezzo molto più alto rispetto alle quotazioni dello zucchero sul mercato occidentale).
linx linx 16/07/2010 ore 05.19.02
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(Nessuno)RE: Cuba, patria dove tutto è lecito.


La Baia dei Porci

Il 3 gennaio 1961 Fidel Castro, sicuro che l'ambasciata statunitense fosse un covo di spie e timoroso di un'invasione, chiese alla Casa Bianca di ridurre il personale diplomatico all'Avana per raggiungere gli stessi numeri della piccola delegazione cubana a Washington. In risposta gli Stati Uniti troncarono le relazioni diplomatiche. È opinione di molti analisti che la dura politica estera statunitense accelerò se non determinò l'entrata di Cuba nella sfera d'influenza sovietica.

Il nuovo Presidente John Fitzgerald Kennedy, che durante la campagna elettorale aveva accusato Richard Nixon (candidato Repubblicano e vicepresidente con Eisenhower), di aver consegnato Cuba al comunismo, autorizzò nel febbraio 1961 la realizzazione pratica di un piano di intervento denominato Operazione Zapata, elaborato sulla scia del Programma per un'azione segreta contro il regime di Castro17 marzo 1960. L'azione iniziò con alcuni bombardamenti aerei su piccola scala che resero palese l'intento di procedere a un'invasione e ebbero come prima conseguenza il fermo di molti dissidenti cubani. Il 16 aprile 1961 Castro dichiarò Cuba stato socialista e il giorno successivo iniziò lo Sbarco nella Baia dei Porci.
approvato dall'amministrazione Eisenhower il

Il tentativo di invasione si risolse in un clamoroso fallimento. Circa 1189 controrivoluzionari furono arrestati, imprigionati e processati. Venti mesi dopo, il 23 dicembre 1962, furono rilasciati, in cambio di 53 milioni di dollari in alimenti per bambini e farmaci.


El bloqueo

Il blocco economico contro Cuba scatta ufficialmente con il Proclama 3447 nel 1962.

Alcuni analisti evidenziano comunque come il Proclama 3447 segni il culmine dell'escalation di un conflitto che, pur non sfociando in un diretto conflitto armato, ha le caratteristiche di una guerra dal punto di vista diplomatico, economico e legale delle relazioni.

Nel frattempo gli Stati Uniti non rinunciarono a colpire Cuba in modo più diretto e a partire dal 1961 tentarono di destabilizzare il Governo castrista con atti di terrorismo e sabotaggi, come previsto dall'Operazione Mangusta.


Il Proclama 3447

Dal 22 al 31 gennaio 1962 si svolse a Punta del Este, in Uruguay, l'ottavo "Meeting of Consultation of Ministers of Foreign Affairs" (Incontro di Consultazione dei Ministri degli Affari Esteri) dell'OAS. Il Documento finale approvato dai partecipanti parlava esplicitamente di "offensiva comunista in America", paventando un pericolo per le istituzioni democratiche e l'unità del Continente. Per questo istituiva un Comitato Speciale per la Sicurezza contro la sovversione comunista e dichiarava Cuba escluso dal Sistema Interamericano.

Il 7 febbraio 1962, con il Proclama 3447 Kennedy ampliò le restrizioni commerciali varate da Eisenhower nell'ottobre 1960 e impose l'embargo su ogni tipo di scambio. Il Proclama 3447, che faceva esplicito riferimento agli esiti del meeting di Punta del Este, richiamò l'autorizzazione emanata dal Congresso il 4 settembre 1961 con il "Foreign Assistance Act"; ma al contrario di questa, che cercava le ragioni dell'embargo anche nel danno economico provocato ai cittadini statunitensi dagli espropri, l'atto presidenziale pose l'accento solo sull'allineamento ideologico del governo di Cuba al comunismo sino-sovietico. Il portavoce di Kennedy, Pierre Salinger, dichiarò che prima di siglare l'embargo il Presidente lo incaricò di procurargli un migliaio di sigari H. Upmann, un particolare tipo di cubani che fumava abitualmente e che presto non avrebbero più potuto essere acquistati negli States.


La Crisi di Cuba


Sentendosi minacciati dalla vicina superpotenza, i cubani chiesero all'Unione Sovietica l'installazione di batterie di missili nucleari sul proprio territorio. Il 14 ottobre 1962 un aereo spia U-2 statunitense evidenziò la costruzione di una postazione missilistica e, dopo successive ricognizioni, il Presidente Kennedy annunciò in un appello televisivo del 22 ottobre la scoperta delle installazioni e dichiarò l'Unione Sovietica direttamente responsabile di eventuali attacchi missilistici provenienti da Cuba. Kennedy ordinò inoltre una "quarantena" navale sull'isola per prevenire ulteriori consegne di materiale militare, evitando di utilizzare il termine blocco navale in quanto interpretabile come atto di guerra in base al diritto internazionale. La crisi terminò il 28 ottobre con il ritiro dei missili sovietici in cambio del ritiro dei missili statunitensi dalla Turchia e della garanzia che gli USA non avrebbero appoggiato un'invasione a Cuba e la quarantena navale venne rimossa il 20 novembre.

Terminata la Crisi dei Missili, Kennedy intensificò le sanzioni contro Cuba. Il 7 febbraio 1963 venne proibito il trasporto di merci statunitensi su navi straniere che avessero fatto tappa nei porti cubani.


Il Cuban Asset Control Regulation

L'8 luglio 1963, utilizzando il Trading with the Enemy Act, venne infine varato i Cuban Assets Control Regulations (CACR). Con questi regolamenti sul controllo dei patrimoni cubani si proibisce l'esportazione di prodotti, tecnologie e servizi statunitensi a Cuba, sia direttamente che attraverso Stati terzi. Viene inoltre proibita l'importazione di prodotti cubani, sia direttamente che indirettamente, fatta eccezione per materiale informativo e opere d'arte con valore inferiore ai 25.000 dollari. Si sancisce il totale congelamento dei patrimoni cubani (sia statali, sia dei cittadini) in possesso statunitense e viene posto l'assoluto divieto di mandare rimesse a Cuba o favorire viaggi verso gli Stati Uniti, prevedendo licenze particolari solo in caso di emergenze umanitarie.


Il Cuban Democracy Act

Tale documento stabilisce che verrà tolto l'embargo quando saranno soddisfatte alcune condizioni: 1- svolgimento di elezioni libere e oneste 2- ripristino dei partiti di opposizione, dando loro il tempo di riorganizzare la campagna elettorale 3- rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani dei cittadini cubani 4- instaurazione di un regime economico di libero scambio 5- modifiche costituzionali tali da permettere elezioni libere e oneste come al punto 1
La legge Helms-Burton

Tale legge, del 1996, aggrava l'embargo stabilendo che gli USA ritireranno tutti i finanziamenti verso le organizzazioni internazionali che violeranno l'embargo e annullerà le importazioni verso quei paesi che effettueranno traffici con Cuba nella stessa misura delle importazioni da questi effettuate. tale legge è stata ritenuta da molti illegittima in quanto, oltre a contribuire al mantenimento dell'economia cubana a uno stadio di povertà, viola il diritto di autodeterminazione, la libertà degli scambi economici, il divieto di non ingerenza nelle questioni di sovranità interna.


La presidenza Bush
Sezione vuota

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La presidenza Obama

Il 13 aprile 2009 il presidente statunitense Barack Obama ha ordinato la revoca delle restrizioni ai viaggi e alle rimesse per i cubano-americani con parenti nell’isola. La direttiva allarga tra l'altro la gamma di oggetti che potranno essere spediti a Cuba conservando il divieto di inviare doni ai dirigenti del Partito Comunista Cubano La decisione mira a rendere il popolo cubano "meno dipendente dal regime castrista" . Il segretario del Partito Comunista Cubano, Fidel Castro, ha commentato le aperture chiedendo la fine dell'embargo e affermando che "Cuba ha resistito e resisterà ancora. Non tenderà la mano per chiedere l'elemosina. Andrà avanti con la testa alta". e agli alti funzionari del governo.


El Bloqueo e la Comunità Internazionale
Il 26 luglio 1964 sanzioni multilaterali furono varate dall'OAS vennero poi ritirate il 29 luglio 1975.

Il Rapporto di Cuba sulla Risoluzione 62/3 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite denuncia che per i suoi obiettivi, per la sua portata e per i mezzi impiegati per ottenerli, il blocco degli Stati Uniti contro Cuba si qualifica come un atto di genocidio in base a ciò che sancisce la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 9 dicembre 1948, e come un atto di guerra economica, in base alla Conferenza Navale di Londra del 1909.

Nell'ottobre 2009 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato con 187 voti favorevoli, 3 contrari (Israele, Palau e Stati Uniti), e l'astensione di Isole Marshall e Micronesia, una mozione per chiedere agli Stati Uniti la cessazione dell'embargo. In precedenza l'ONU si era già espresso svariate volte contro l'embargo, con una maggioranza sempre più ampia: dai 59 voti contro l'embargo del 1992, si è passati a 179 nel 2004, 182 nel 2005, 184 nel 2007 e 185 nel 2008.
carlitosway.70 carlitosway.70 16/07/2010 ore 09.19.53
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(Nessuno)RE: Cuba, patria dove tutto è lecito.

VladimirUljanov scrive:
forse c'è un errore di forma !
l'elettorato ha dimostrato una maturità eccezionale , isolando
un pezzo di merda infiltrato e bloccando un partito finto alleato
di nascosto con il TUO NANOMAFIOSODIMERDA !

il partito è in stand.bay ma non il popolo ...COGLIONAZZO!
basta solo osservare questa anomalìa a cui si attaccano gli
stronzi che ora S-GOVERNANO IL PAESE !!!

pensa te, caro trafficante di droga del cazzo, se diventasse
FINI .....comunista alla CASTRO !???
(saprai certamente che Castro non fu mai comunista!..vero?)

poi ne riparleremmo...fogna a cielo aperto!!!!

hasta finchè te dice bene



sono commosso, questo attestato di stima lo conservo, hai visto mai che potrebbe venirmi utile.
a proposito, come mai l'elettorato vi ha detto: compagni siete dannosamente inutili, non vi votiamo piu'.
Ora i caschi sono 2, non ne riparleremmo...fogna a cielo aperto, chi ha perso piglia e si toglie dai maroni.

hasta finchè te dice bene e finchè riesci a campare.
carlitosway.70 carlitosway.70 16/07/2010 ore 09.21.04
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(Nessuno)RE: Cuba, patria dove tutto è lecito.

Falco.SS scrive:
Penso che non ci farebbe male un pò di dittatura comunista ,per assurdo vorrei che vincesse le prossime elezioni l'opposizione



guarda che se arrivano gli indottrinati arrivano anche le bierre ed i kompagni dei centri asociali.
carlitosway.70 carlitosway.70 16/07/2010 ore 09.23.32
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(Nessuno)1) La «rivolta» vista dal Pci di Massimo Caprara

@ linx:

1) La «rivolta» vista dal Pci di Massimo Caprara
2) In Ungheria l'Urss porta la pace di Giorgio Napolitano



1) La «rivolta» vista dal Pci
Cinquant'anni fa l'URSS reprimeva la resistenza anticomunista in Ungheria. Un bagno di sangue costato la vita a decine di migliaia di lavoratori, operai e studenti. Il Pci si schiera con i sovietici. Il racconto di un testimone: il segretario di Togliatti...
di Massimo Caprara *

«Svelto. È urgente. Ti vuole Togliatti». Il deputato comunista che era sceso di corsa dagli uffici del Gruppo parlamentare comunista alla Camera, a Montecitorio, mi raggiunse nel Transatlantico ormai deserto la sera del 2 novembre 1956, quando sull'Italia passava il rumoroso ponte aereo di sostegno allo sbarco inglese all'istmo di Suez.
«Convoca il direttivo del Gruppo. Giuliano Paletta (1915-1988) - piú giovane dei fratello Giancarlo (1911-1990) - è incaricato di parlare domani in Aula per noi» mi avvertì Togliatti al telefono. Poi, dopo una pausa, senz'attendere risposta, precisò: «Sono entrati a Budapest». «Accidenti», mi scappò detto. «Ma sono i nostri» replicò il capo del Partito. «Li comanda il generale d'armata Lascenko», tagliò corto Togliatti e troncò bruscamente la telefonata. La sua precisazione corresse la mia errata sensazione che a invadere l'Ungheria fossero le truppe della Nato, irrompendo da quei confini austriaci che l'Unità in quei giorni assicurava ultrapieni d'armi a disposizione del Cardinale Josef Mindszenty, Primate d'Ungheria, arrestato dal regime comunista e poi rifugiatosi nell'ambasciata degli Stati Uniti. Era l'inizio dell'indimenticabile 1956.

«Viva l'Armata Rossa», concluse nel suo intervento Giuliano Pajetta urlando contro il liberale Gaetano Martino, il Ministro degli Esteri del governo di Antonio Segni. «Noi non possiamo ignorare la funzione dell'esercito sovietico liberatore» disse Pajetta in modo provocatorio, accendendo le proteste di democristiani, liberali e della destra della Camera italiana. Scoppiò un tumulto.
Dei fatti, Togliatti già sapeva. Un messaggio personale gli era stato già fatto recapitare dall'Ambasciata sovietica di via Gaeta, a Roma, con la firma del membro del Politburo Dimitri Trofimovic Svepilov e, inoltre, tra il 22 e il 24 ottobre egli aveva effettuato un viaggio lampo in macchina sino a Pola per incontrarvi i dirigenti del partito jugoslavo, Tito e Miciunovich, latori di una comunicazione riservata dell'Armata Rossa e del Comando delle truppe del Patto di Varsavia.

A Budapest, il popolo organizza violente manifestazioni contro il comunismo e il governo autoritario. Imre Nagy, capo legittimo del governo ungherese, viene accusato dai russi d'aver perduto il controllo della situazione e legalizzato l'insurrezione dando pubblica fiducia ai suoi capi e in particolare al cosiddetto teppista, Pal Maleter, il capo della rivolta.

La sera dei 6 novembre avvicinai Togliatti alla Camera. Di malavoglia egli mi disse, irritato: «È tutta colpa di quegli agitatori qualunquisti del Circolo Petöfi di Pest e dell'influenza esercitata dal filosofo Georgy Lukacs, comunista per modo di dire», sibilò con astio. «Lo rimanderemo a scrivere i suoi libri a Vienna, come ha fatto per tanto tempo» aggiunse. Ci incamminiamo lentamente verso la buvette di Montecitorio. «Per Nagy tira ormai un'aria funesta». Togliatti parlò con sicurezza distaccata.
Da Budapest, il corrispondente dell'Unità, Orfeo Vangelisti, trasmetteva in quei giorni che «gruppi di facinorosi, seguendo evidentemente un piano accuratamente studiato, hanno attaccato la sede della radio e del Parlamento. Gruppi di provocatori in camion hanno lanciato slogan antisovietici apertamente incitando a un'azione controrivoluzionaria. In piazza Stalin, i manifestanti hanno tentato di abbattere la statua di Stalin». Il grande moto ungherese veniva così ridotto e manipolato dall'organo di stampa del Pci.

Dopo un grande comizio di Imre Nagy, questi veniva arrestato dalle truppe russe e rumene a Budapest e sostituito da Janos Kadar a capo del Governo. In una affollatissima conferenza stampa, nel pianterreno dell'edificio extraterritoriale dell'Ambasciata americana, il Card. Mindszenty aveva detto a proposito dell'intervento delle truppe del Patto di Varsavia: «Lo condanno in maniera incondizionata» e aggiunto: «Anche se Kadar faceva parte del governo Nagy, io considero governo legale solo il governo Nagy. Kadar è stato insediato dagli stranieri».
A Roma usciva sull'Unità un articolo di fondo intitolato « Da una parte della barricata a difesa dei socialismo» sul quale si scriveva: «I ribelli controrivoluzionari hanno fatto ricorso alle armi. La rivoluzione socialista ha difeso con le armi se stessa, com'è suo diritto sacrosanto. Guai se così non fosse». Da Mosca arriva una dichiarazione attribuita a Krusciov che inveisce contro i disordini: «A komunistse tam rezhut» («In Ungheria scannano i comunisti»).
Il partito comunista italiano è in subbuglio. Nella Direzione, Amendola definisce l'intervento «un dovere di classe». Un'assemblea di studenti iscritti alla Federazione giovanile comunista di Roma vota all'unanimità un documento di sostegno «al processo di democratizzazione e a quei movimenti che si stanno manifestando in questo senso in Ungheria e che dovranno portare a un socialismo costruito nella democrazia e nella libertà». L'Unità lo respinge, l'Avanti! lo pubblica.

A Milano, un folto e combattivo gruppo di intellettuali, comunisti e non, approva un documento critico analogo. Rossana Rossanda e Giangiacomo Feltrinelli hanno l'incarico di andare all' Unità e di chiederne la pubblicazione. Davide Laiolo, il direttore dell'edizione di Milano, li affronta aspramente e li aggredisce urlando. Rifiuta la mozione e dichiara che finché rimarrà lui, «una spazzatura simile non comparirà mai sulle colonne del giornale». Ma la novità più esplosiva verrà dalla sede della CGIL, la Confederazione del lavoro con milioni di iscritti, con sede in corso d'Italia a Roma. «L'intervento sovietico contraddice i principi che costantemente rivendichiamo nei rapporti internazionali e viola il principio dell'autonomia degli Stati socialisti», si legge nel testo votato all'unanimità. Prima firma: Giuseppe Di Vittorio, segretario generale. È un comunista di antica data. Io arrivo proprio mentre Di Vittorio scende dalla macchina sotto il portone delle Botteghe Oscure. Fa appena in tempo a dirmi che è stato convocato d'urgenza dalla Direzione. Entro con lui nel locale della segreteria, l'ufficio di Togliatti, che subito gli dice: «Il documento della CGIL va ritirato. Devi essere tu a correggere la posizione. Lo farai nel prossimo comizio». Poi aggiunge seccamente: «A Livorno, domenica ventura». «Ma è un comizio sindacale unitario non del partito» dice Di Vittorio.

«Meglio», replica il segretario comunista. Uscendo, Di Vittorio è fiaccato, stravolto. Ha gli occhi rossi. «Che avrei potuto fare? Mi hanno, tutta la direzione, messo clamorosamente di fronte all'alternativa: o il comizio o fuori dal partito. Che farei io, Di Vittorio, senza il partito? Forse non sono già più Peppino Di Vittorio». La domenica successiva andò a Livorno, parlò e rinnegò se stesso.
Imre Nagy, attirato fuori dalla legazione jugoslava dove si era rifugiato, fu deportato, proditoriamente processato e impiccato dai russi nel 1958.
Nonostante simili gravissimi eventi, io allora non uscii dal partito. Uscii invece nel 1968, dopo l'invasione russa di Praga, quando fui radiato dal Pci. Non mi assolvo. Porto il peso dei miei errori e della colpa della mia ideologia.
Il Timone, Anno VII - Gennaio 2006
carlitosway.70 carlitosway.70 16/07/2010 ore 09.36.35
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(Nessuno)sangue sull’estate troppo bella

@ carlitosway.70:

Praga 1968: sangue sull’estate troppo bella


“Riconosco di essere entrato in contatto e in rapporto con i rappresentanti degli imperialisti angloamericani e con i loro servizi segreti che si intromettevano negli affari interni della Cecoslovacchia. Ho svolto attività ostile, ho sostenuto gli interessi degli imperialisti angloamericani e ho tradito gli interessi del popolo cecoslovacco.”

E’ una delle pubbliche confessioni estorte al processo Slansky. Il 21 agosto 1968 è uno spartiacque nella storia, è la fine di un sogno, quello di un comunismo libero e democratico. In pochi giorni i carri armati di Mosca e dei paesi satelliti (Polonia, Bulgaria, Germania Est, ecc…) schiacciano tutti gli esperimenti e gli espedienti per coniugare comunismo, libertà e democrazia tentati a Praga da intellettuali e studenti. Mette i brividi vedere i carri armati russi in Georgia proprio nell’annniversario dell’invasione della Cecoslovacchia, 40 anni dopo le immagini dei carri armati a Praga. Impressionante coincidenza. Punto. Resta la volontà di potenza russa, l’imperialismo con la sindrome da accerchiamento dello stato più grande della terra. Però tra i due eventi, quel ‘68 a Praga e questo 2008 in Georgia, il mondo è cambiato. In mezzo c’è la data fondamentale del crollo del muro di Berlino, dell’implosione dell’impero comunista sovietico. Lo ricorda Vàclav Havel, commediografo, ex presidente, ma soprattutto protagonista della primavera di Praga: “Tra la caduta graduale della cortina di ferro e la caduta del comunismo nell’anno ’89 e gli avvenimenti dell’anno ’68 c’è in comune la pressione della società che vuole vivere in libertà e non sopporta più il totalitarismo che umilia gli uomini dalla mattina alla sera e conduce alla decadenza dell’economia. In comune c’è quindi la rivolta contro un intero regime totalitario di tipo comunista. Il resto è senz’altro molto differente. Prima di tutto, l’anno ’68 è stato caratterizzato da un’ideologia di comunismo riformista.

Il governo con l’appoggio silenzioso del pubblico sottolineava che voleva solo migliorare il socialismo. Si affermava che non avremmo rinnegato il blocco monolitico sovietico, non saremmo andati contro di esso, non avremmo privatizzato o introdotto il capitalismo. Questa ideologia di socialismo riformista era, dal di fuori, dall’estero, la più visibile manifestazione della Primavera di Praga. Però nell’anno ’89 tutto era già totalmente differente. La gente non voleva più alcun socialismo dal volto umano, voleva la libertà.” La Primavera di Praga e la sua brutale repressione, storia di un anno speciale, il ‘68, quando in tutto il mondo scoppiò una rivolta giovanile, gli studenti di Tokio diedero battaglia con tre giorni di guerriglia urbana, l’assassinio di Martin Luther King fece scoppiare rivolte nei ghetti neri di 200 città americane, a Parigi il mese di maggio fu quanto più vicino alla rivoluzione una democrazia moderna abbia mai provato, nella Spagna del regime franchista studenti e operai scioperarono e manifestarono più che negli altri paesi europei, le olimpiadi di Città del Messico furono precedute da un bagno di sangue durante la repressione di una manifestazione, l’omicidio di Bob Kennedy, l’ultimo che ancora poteva entrare nei ghetti in fiamme, spense le speranze di pace, la guerra del Vietnam raggiunse picchi di orrore come la strage del villaggio di My Lay, persino i ragazzi della ex Jugoslavia, sotto il regime di Tito, trovarono la forza di scendere in piazza per manifestare. Intervistato da Martin Vidlak e Petr Jancarek, Vàclav Havel ricorda così quell’anno: “Era però un movimento mondiale, era l’epoca dei Beatles, di Lou Reed, di Andy Warhol, l’epoca dei movimenti studenteschi indipendenti. Da noi c’era un aspetto particolare perchè finora esisteva solo la CSM, l’Unione della gioventù cecoslovacca, cioe’ l’organizzazione ufficiale della gioventù comunista. Su iniziativa dei giovani all’improvviso si svilupparono organizzazioni indipendenti ed apartitiche che non avevano bisogno del sostegno di nessuno ne’ di fare proseliti. Non erano più determinate da una qualche ideologia. In effetti è accaduto molto anche negli anni ’50, gli scrittori si agitavano e parecchie proteste furono soffocate.

Allora gli oppositori si adattarono al linguaggio ufficiale comunista e si adeguarono agli schemi e ai concetti fondamentali dell’ideologia. Ma ora arrivava la generazione che ha buttato all’aria tutto questo. L’anno ’68 – grazie agli scioperi degli studenti in America, alla rivoluzione di maggio a Parigi e agli avvenimenti in Cecoslovacchia – è diventato il culmine di questi movimenti mondiali molto particolari. Così si può dire dell’atmosfera d’allora…..

Era un’epoca di grande eccitazione, di grande gioia e anche di apprensione e paura di come tutto sarebbe finito. Naturalmente abbiamo fatto falò, feste e, sebbene non abbiamo voluto ammetterlo, inconsciamente abbiamo dovuto fare conto dell’alternativa, che tutto sarebbe stato oppresso e calpestato. Ogni giorno ascoltavamo la radio e la tv, cosa finora impensabile, perchè non vi era mai niente di interessante da ascoltare o guardare. Mi ricordo che il mio amico, l’attore Jan Tríska, allora aveva detto: ”E’ un’estate troppo bella, non può finire bene.” Quell’estate troppo bella finì nel sangue, nelle “purghe”, nei processi-farsa. Difficile persino fuggire. La radio fece il suo ultimo appello al mondo libero. Il canale canale televisivo tentò ancora una volta di rivolgersi a dei telespettatori (vediamo nella foto un frame di quell’ultima trasmissione) che nelle loro case stavano già sotto il tiro dei carri armati.

Jirì Pelikàn, direttore della televisione, riuscì a scappare nascosto dentro un’ambulanza e a rifugiarsi in Italia. Fu accolto come profugo ma subì anche diversi attacchi verbali: c’era chi lo trattava da fascista e lo insultava. Come per ogni altro evento del ‘68, non c’era certo unanimità di consensi nel mondo occidentale, cosiddetto “libero”, attorno alla Primavera di Praga. Non aver condannato l’invasione sovietica fu un errore storico della sinistra comunista. Si volle dimenticare rapidamente che i protagonisti della Primavera avevano insistito per riconoscersi nel comunismo, che persino il martire Jan Palach (lo studente che si darà fuoco per protesta nel gennaio del ‘69) aveva appena consegnato una tesina su “L’Umanesimo nel giovane Marx” e aveva partecipato alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam davanti all’ambasciata americana di Praga.

Persino il suo gesto estremo era ispirato ai monaci buddisti che si erano dati fuoco in Vietnam. Così Havel ha raccontato il giorno più caldo, il 21 agosto del 1968: “Mi ricordo il primo momento, quando ci hanno telefonato alle undici di notte e ci hanno detto di accendere la radio dove stavano leggendo l’annuncio della presidenza del Comitato centrale del Partito comunista che l’esercito stava occupando il nostro Paese. Siamo subito corsi fuori dalla festa. L’amico Jirí Seifert, che oggi non vive più, era in un tale stato d’animo e in una tale disposizione di spirito da mettersi sul percorso di un carro armato come se avesse voluto impedirgli di andare avanti. Ciò non corrispondeva solo al suo stato d’animo, ma era caratteristico di quel periodo. Tutto ciò presentava diversi aspetti. La popolazione da una parte non credeva agli suoi occhi, non credeva che fosse possibile che all’ improvviso centinaia di carri armati e migliaia di soldati avessero occupato il Paese con tanta brutalità senza qualsiasi motivo concepibile, dall’altra parte forse sapeva che questo significava il disastro e la fine per un tempo molto lungo. Naturalmente non si riusciva a immaginare che aspetto avrebbe avuto tale fine e per quanto tempo, ma tutti sapevano, capivano e sentivano che era successo qualcosa di tragico. Tuttavia allo stesso momento nella popolazione c’era ancora una speranza comune.

E’ difficile dire speranza in che cosa di preciso. Ma la solidarietà di cui ho parlato, l’unità, il bisogno di aiutarsi – per esempio ci portavano farmaci dall’ospedale alla radio senza che ne avessimo avuto bisogno solo perchè la gente sentiva il bisogno di aiutare – tutta l’atmosfera era in sostanza qualcosa che rafforzava la speranza. So che è stato scritto lo slogan “lo spirito vince la forza bruta”.

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