Da "Il Riformista"
https://www.ilriformista.it/orsina-il-pd-e-in-crisi-irrimediabile-schlein-non-ha-capito-che-il-mondo-e-cambiato-e-che-leuropa-va-difesa-459972/«La politica estera è politica tout court, oggi. Imprescindibile. E se non sei chiaro sulle scelte internazionali, semplicemente non puoi governare», ci dice Giovanni Orsina, professore ordinario di storia contemporanea e Direttore del Dipartimento di scienze politiche alla LUISS Guido Carli di Roma.
Quanto conta oggi la politica estera, la politica internazionale?
«Siamo in uno di quei momenti in cui la politica estera diventa fondamentale. Un tema che c’è sempre stato: è risalente nel tempo il grande dibattito storico e politologico sul primato della “Außenpolitik” o della “Innenpolitik”, se venga prima la politica interna o quella internazionale. In un momento come questo, di ridefinizione profonda degli equilibri globali, è chiaro che la politica internazionale diventa dirimente. Quanto lo vedremo, perché possono esserci diversi gradi, però è chiaro che le scelte internazionali sono un elemento portante».
Tanto più per l’Italia…
«Certo: se non vogliamo nascondere la testa sotto la sabbia, siamo un paese fragile, che risente più di altri dei venti internazionali».
Fragile da che punto di vista?
«Da quasi tutti. Alla fine, lo è militarmente, lo è demograficamente, lo è per capienza di bilancio, lo è per tenuta del tessuto psicologico interno. L’Italia è un Paese da dopo la Seconda guerra mondiale, ma forse anche nella sua storia unitaria, è sempre stato particolarmente sensibile ai venti internazionali, proprio perché è un paese meno forte di altri. Non ci dimentichiamo che l’Italia si unifica grazie a guerre combattute da altri paesi, con un gioco di equilibri internazionali».
Per le sconfitte incrociate, diciamo, dell’Austria prima e della Francia poi?
«Esattamente. Da noi una buona politica interna passa in larga misura per una buona politica internazionale».
Chi non sembra avere le idee chiare in politica internazionale è il PD di Elly Schlein. Che tiene un discreto 22-23% nei sondaggi, sì, ma poi cosa ne può fare, se non mostra affidabilità sul piano internazionale?
«Partiamo da un dato di fatto: tutti e due gli schieramenti sono divisi sulla politica internazionale. Però bene o male la maggioranza è tenuta insieme dallo stare al Governo, il Presidente del Consiglio ha preso una linea più chiara di quanto spesso si dica e, secondo me, largamente condivisibile. Quindi il problema si pone ovunque, ma a sinistra si pone in maniera molto marcata e lì non è soltanto un problema di rapporti fra i partiti, ma taglia in due il partito democratico».
Non è un problema da poco…
«Altroché. È una catastrofe: se domani dovessero verificarsi le condizioni per avere una maggioranza diversa a guida Pd, quante persone responsabili sarebbero disposte a votarla, sapendo che porterebbe incertezza sulla collocazione dell’Italia? La situazione si è rovesciata rispetto al 2022».
Quali sono a suo avviso le cause di tanta ambiguità?
«Ci sono due fattori da considerare per capire la frattura interna al Partito Democratico. Il primo, a parziale scusante di Schlein: l’elettorato. Con un Pci all’opposizione e ancorato a Mosca per decenni, nella sinistra italiana si è sedimentato un sentimento antioccidentale e ideologicamente pacifista. Ancora oggi raccogliamo la tempesta che è stata seminata nei quarantacinque anni della Guerra fredda. Quella tendenza culturale si è consolidata e ha costruito delle robuste tradizioni, delle mentalità radicate, che da ultimo sono state risucchiate in parte dal Movimento 5 Stelle, ma in parte sono rimaste anche dentro il Partito Democratico».
E il secondo elemento?
«Eccolo: detto che i suoi elettori vengono da questa mentalità, la funzione del leader sta nel costruire una guida che guardi avanti. Qui Schlein si scontra con un immenso ritardo della sinistra, non soltanto italiana ma anche italiana, rispetto alla crisi dell’ordine politico post-Guerra fredda, della quale in definitiva l’avvento di Donald Trump non è altro che un sintomo, un segnale».
Era una sinistra attrezzata per il Novecento che oggi non riesce più a stare in campo?
«Abbiamo visto questo mondo andare gradualmente a pezzi: il multilateralismo, i diritti umani, il mercato che porta alla democrazia, la protezione ambientale. Questo mondo, ancora forte a fine anni Novanta e forse all’inizio degli anni 2000, non tiene più. Donald Trump è la ciliegina sulla torta. Non è l’elemento che ha prodotto il processo di trasformazione, ma ne è il simbolo e il punto culminante».
Perché la sinistra di oggi è così spiazzata?
«Perché la socialdemocrazia tradizionale, già in crisi da decenni, aveva sposato quel mondo multilateralista, pacifista, ambientalista, e oggi si ritrova afona. I tentativi di costruire una nuova sinistra adeguata al presente stanno fallendo tutti: il tentativo forse più interessante è stato il Movimento 5 Stelle, che per certi versi ha tentato di dare una risposta innovativa alle nuove sfide. Ma non ha funzionato. Un altro caso interessante, altrettanto fallimentare, è Podemos».
Tema ontologico, il centrosinistra deve ripensarsi al di là della leader, che è spesso afona a sua volta…
«Il problema centrale è che non ci sono punti di riferimento culturale. Guardiamo quello che sta succedendo in America con il Partito Democratico, che è completamente suonato, non riesce a superare lo shock delle elezioni. Questo vuol dire che non c’è un pensiero, un’idea, una capacità di ripensare che cosa voglia dire essere a sinistra in questo nuovo mondo. Per carità, non è che a destra si affollino i Croce e i Gentile. Tutt’altro. Ma, in una forma grezza e confusa, la destra si è saputa adeguare meglio alle nuove sfide. Allora mettiamo le tre cose insieme. Abbiamo un elettorato strutturalmente diviso, che quindi andrebbe ricompattato con una grande iniziativa politica. Una grande iniziativa politica ha bisogno di pensiero, e un pensiero forte non ce l’abbiamo. E il terzo elemento, che oggi sta emergendo con evidenza, è quello della fragilità personale di Elly Schlein rispetto alla sfida».
Perché è una movimentista: il suo riferimento storico va ai Figli dei fiori e al Sessantotto, non alla guerra di liberazione partigiana…
«Direi di sì, la matrice è quella: un pacifismo movimentista che ha le sue origini negli anni Sessanta, si sviluppa nei decenni seguenti e raggiunge il culmine nel moralismo umanitario che trionfa dopo la fine della Guerra Fredda. Quando il mondo sembrava marciare sulla via della pace, e il moralismo umanitario era facile e poco costoso. Ora si tratta di reinventarsi, di capire che il mondo è cambiato, che l’Europa va difesa e dunque va capovolto il paradigma della cultura politica in cui milioni di elettori sono cresciuti. Non sarà facile».
COSA PENSATE?
Schlein non ha capito che il mondo è cambiato e che l’Europa va difesa perchè pensa solo al "pericolo fascismo", alla cancel culture, al patriarcato, alla cultura woke, ai LGBTQ ecc
Ecco a cosa pensa la Schlein